Pare che la maggioranza stia per trovare un accordo sul controllo pubblico dell’Alitalia, senza partner industriale esterno, facendo invece cooperare Ferrovie dello Stato, Cassa Depositi e Prestiti e la sua controllata Poste italiane, di fatto compiendo la nazionalizzazione dell’Alitalia. Rifare gli errori già fatti due volte negli ultimi 15 anni, ma stavolta tutto da soli, con probabile ulteriore aumento dei miliardi che andranno persi.
Se davvero l’orientamento governativo è questo, c’è da avere paura, ma purtroppo vanno in questo senso le dichiarazioni di Luigi Di Maio: “Alitalia deve essere un’azienda che ci consenta di gestire i flussi turistici del futuro con una regia politica”. Una frase che non merita particolari commenti… sarebbe da chiedere a Di Maio quale vettore aero al mondo “gestisca” i flussi turistici piuttosto che servirli…
Nel frattempo Di Maio briga per modificare l’accordo sull’Ilva, chiedendo ad Arcelor Mittal di prendersi in carico tutti i livelli occupazionali correnti, e nel frattempo invoca l’Avvocatura dello Stato per valutare l’annullamento in autotutela della gara che ha assegnato la società siderurgica, minando ovviamente la credibilità del nostro Paese nei negoziati con le multinazionali.
Nel caso di Ilva, come giustamente sottolinea il sito Phastidio.net:
se l’impianto dovesse chiudere, avremmo tagliato una robusta quantità di eccesso di capacità produttiva europea e globale nell’acciaio, con conseguente sostegno ai prezzi ed agli utili dei produttori rimasti. L’Italia, per parte sua, dovrebbe importare acciaio e potrebbe quindi spianare il suo surplus commerciale, come nei desideri del prestigioso economista che guida pro tempore gli Affari europei nel nostro esecutivo. Perché, come sapete, c’è questa corrente di pensiero secondo cui un avanzo commerciale è tutta domanda interna distrutta, signora mia. Ma forse le cose non andranno così: forse Arcelor Mittal si ritirerà, e verrà sostituita da un gruppo di investitori solo tricolori: che ne dite di Ferrovie, CDP, Poste?
Sul tema del debito pubblico, è invece a dir poco allarmante la dichiarazione del sottosegretario leghista alle Infrastrutture, Armando Siri, che ha auspicato un patriottico riacquisto del debito pubblico italiano in mano agli stranieri «Il problema del debito pubblico deve essere ridimensionato perché a 2.200 miliardi di debito pubblico corrispondono 5.000 miliardi di risparmio privato. Il problema è costituito dai titoli di Stato che sono nelle mani di soggetti stranieri. Noi dovremmo essere in grado di incentivare le famiglie ed i risparmiatori in titoli di stato, offrendo loro sgravi fiscali. Io con un gruppo di esperti stiamo lavorando a una proposta dettagliata che verrà presentata ai presidenti delle commissioni bilancio e finanza della Camera e del Senato e al ministro dell’Economia: la creazione di uno strumento individuale di risparmio che va in questa direzione. Se la maggior parte del debito pubblico fosse nelle mani degli italiani non ci sarebbe più il problema dello spread»
No. Lo spread non ci sarebbe più, ci sarebbero solamente una moltitudine di ulteriori risparmiatori italiani in ginocchio con in mano carta straccia.
Nel frattempo il declassamento del debito pubblico italiano continua e potrebbe portare a qualche attacco speculativo al debito pubblico capace di accelerare la situazione, che nessun salvataggio europeo del Tesoro potrebbe contenere, portando il Paese al baratro.
Un’altra grande manovra economica in arrivo sarebbe quella della “quota 100” nelle pensioni, che potrebbe essere ottenuta finanziando la cosiddetta “pace fiscale” pensata da Salvini. Si tratterebbe di pagare a saldo e stralcio il 25% del dovuto, sia su cartelle esattoriali sino a centomila euro che su liti in corso. Una sanatoria, insomma.
Il gettito stimato da questa operazione, una decina di miliardi in due anni, servirebbe a finanziare la “quota 100” delle pensioni.
Finanziare con una misura una tantum una maggiore spesa corrente permanente è ovviamente una follia che porterà danni negli anni a venire, ma ciò che accadrà dopo pare continuare ad essere un pensiero di nessuno, tanto meno di chi sta al governo.