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Squilibri eccessivi: Italia a rischio come Cipro e Grecia

Il Country Report della Commissione Ue è impietoso: dati gli squilibri eccessivi, l’Italia rientra tra i paesi a maggior rischio strutturale. Così in pericolo tra i 28 stati europei ci sono solo Cipro e Grecia.

 

Gli investimenti sono fermi mentre le riforme “quota 100” e “reddito di cittadinanza” avranno un impatto irrilevante su occupazione e crescita ma peseranno sui conti pubblici.

Nel lungo documento che analizza le criticità dell’economia italiana, la Commissione evidenzia ancora il debito pubblico, come già negli ultimi cinque anni, rimarcando che la situazione non sta cambiando in meglio, anzi: gli interventi del Governo daranno una spinta molto limitata alla crescita, e potrebbero invece far aumentare il debito e il deficit, peggiorando il saldo strutturale compromettendo la situazione dei conti pubblici.

 

Andando nel dettaglio: la misura più contestata dal documento è quella della “quota 100”.

La Commissione dubita che tutti coloro che lasceranno il lavoro saranno rimpiazzati, come auspicato dai tecnici del governo, mentre è certa la crescita del deficit strutturale dovuta alla correzione della Legge Fornero.

Meno duro è invece il giudizio di bocciatura sul reddito di cittadinanza. La Commissione lascia aperta la sua valutazione limitandosi a commentare che l’intervento avrà un impatto sulla crescita dei consumi non superiore allo 0,15% su base annua, inferiore quindi a quanto auspicato.

 

Molto preoccupante invece è l’andamento degli investimenti, segnalato in discesa sia per quelli nazionali che per quelli provenienti dall’estero. In più, fa notare il report, non pare che nell’agenda del Governo siano previste azioni che puntino ad una inversione del trend.

Nel rapporto vengono poi anche ribaditi i problemi storici italiani: la lentezza del sistema giudiziario, la debolezza del sistema bancario, l’inefficienza della pubblica amministrazione e il complicato accesso al credito.

 

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Alitalia: 3 miliardi dallo Stato

EasyJet, Delta e le Ferrovie dello Stato sono ufficialmente in trattativa per costituire il consorzio che potrebbe rilevare l’Alitalia, che attualmente sopravvive solo grazie al prestito di 900 milioni erogato dal Governo italiano nel 2017.

 

Il Consiglio di Amministrazione delle Ferrovie dello Stato ha dunque dato il via libera all’avvio della trattativa, con il benestare del Governo che già si era dichiarato disposto a intervenire a sua volta in aiuto, purché tra il consorzio di salvataggio fosse guidato da un partner italiano.

 

Mancando soggetti italiani interessati all’affare ed essendo quasi al termine le risorse di Alitalia, che nel frattempo ha quasi bruciato i 900 milioni del famoso prestito-ponte, lo stallo pare essersi risolto grazie alle Ferrovie dello Stato.

 

Il problema più grave è che, come riportato dalla stampa specializzata (vedi ad esempio articolo di Bloomberg), esistono almeno 3 miliardi di debiti che nessuno vuole accollarsi. L’intervento di EasyJet e Delta (e di Ferrovie dello Stato), prevede infatti che l’enorme cifra di debiti accumulati dalla nostra compagnia di bandiera vengano scorporati con la creazione di una Bad Company di cui ovviamente si farà carico la Repubblica Italiana. In sostanza i 3 miliardi verranno pagati dai contribuenti.

 

La compagnia inglese EasyJet ha confermato il proprio interesse

La compagnia inglese EasyJet ha confermato il proprio interesse

Il Governo ha confermato la propria disponibilità a fare la propria parte, infatti la Presidenza del Consiglio ha diramato la seguente nota: “Si è concluso un vertice a Palazzo Chigi alla presenza del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, del vicepresidente Luigi Di Maio e del ministro dell’Economia Giovanni Tria, all’esito del quale si è convenuta la disponibilità del governo di partecipare alla costituzione della Nuova Alitalia, tramite il Mef, a condizione della sostenibilità del piano industriale e in conformità con la normativa europea”

 

Il sogno industriale di cui parlava Di Maio, di unire il trasporto ferroviario a quello aereo, potrebbe dunque divenire realtà. A carissimo prezzo per i cittadini italiani, ovviamente.

 

 

 

 

 

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Italia / Le stilettate degli Amici di Robin Ud

Oxford vs Grillo, una sconfitta intellettuale

Beppe Grillo si è presentato agli studenti di Oxford bendato, dicendo di “non voler vedere questa Uk, imprigionata dalle discussioni su Brexit in una finta democrazia”, ma si è poi trovato ricoperto di contestazioni e insulti, specie dagli studenti italiani, che pare siano stati gli unici ad avergli rivolto domande.

 

La stampa non era presente, ma in base al racconto degli studenti  pare che Grillo, notando che il clima gli era ostile, abbia finito per litigare apertamente con i ragazzi che partecipavano al dibattito. grillo a oxford

Secondo Cristian Trovato, presidente della Oxford University Italian Society,  Grillo è stato travolto da gridi di disapprovazione, fischi e urla del tipo «Buffone hai enormi responsabilità.

Cristian Trovato sui suoi profili social precisa che: “Grillo Ha litigato con tutti gli studenti che gli hanno fatto domande, addirittura sfottendo «Cosa volete? Avete lasciato il vostro Paese» e non rispondendo nei fatti a nessuna domanda”.  Gli italiani avrebbero attivamente preso parte al confronto, mentre gli stranieri si sarebbero limitati ad ascoltare ma sarebbero rimasti scioccati dalle risposte del politico italiano e dal suo atteggiamento.

 

Molto efficace il commento alla trasferta inglese di Grillo di Massimo Gramellini sul Corriere della Sera.

Per Gramellini la contrapposizione tra Oxford e Beppe Grillo non è solo politica ma rappresenta la totale antitesi tra chi cerca l’eccellenza e chi la considera quasi una colpa, tra chi aspira alla scienza come forma di verità e chi la contesta a prescindere:

L’università inglese evoca divise immacolate e dizionari rilegati in pelle […] il pensiero implacabile di Duns Scoto, grande maestro di logica: quanto di meno familiare a un discorso di Grillo. Il cui nome richiama l’improvvisazione di talento e l’illusione, alimentata dai rivoluzionari di ogni epoca, che si possa cambiare il mondo cambiando il mondo anziché se stessi. Uno strano derby, che forse non si sarebbe neanche dovuto giocare e che Grillo ha perso in trasferta, presentandosi agli studenti con una benda sugli occhi, come la valletta di un mago, e congedandosi da loro in una scia di fischi delusi e impietosi.

Non che i giovanotti oxfordiani si aspettassero l’aplomb di un Draghi o il mimetismo di un Salvini, […] Si sarebbero accontentati di un po’ di educazione. Quella consuetudine ipocrita che preserva i suoi frequentatori dal rischio di offendere chi li ascolta. Pare che Grillo abbia raggiunto il culmine quando, rifiutandosi di rispondere nel merito alle domande degli universitari italiani, ha rinfacciato loro di avere lasciato il nostro Paese. Il guaio non è che lo hanno lasciato. Il guaio è che non ci torneranno, finché l’opinione maggioritaria di cui Grillo è portavoce considererà qualsiasi forma di apertura mentale un privilegio e una colpa.

(clicca qui per leggere il commento integrale di Gramellini sul Corriere della Sera)

 

 

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Draghi: “Stampare moneta per finanziare il debito non funziona”

Mario Draghi, ricevendo un PhD honoris causa alla Normale di Pisa, ha parlato dell’Euro e della Lira, ricordando ai nostalgici della moneta nazionale i problemi che questa aveva creato e sottolineando soprattutto che la rimpianta “età dell’oro” degli anni 80 fu di fatto ottenuta a carico delle generazioni future che ora ne stanno pagando le conseguenze. Ecco la sintesi del suo discorso.

 

Dal varo del sistema monetario europeo la lira fu svalutata sette volte, eppure la crescita della produttività fu inferiore a quella dell’euro a 12, la crescita del prodotto pressappoco la stessa, il tasso di occupazione ristagnò. Allo stesso tempo  l’inflazione toccò cumulativamente il 223% contro il 126% dell’area euro a 12.

Alcuni paesi persero sia i benefici della flessibilità dei cambi che la sovranità della loro politica monetaria. I costi sociali furono altissimi, innescando un processo che si concluse con le crisi valutarie del ’92-’93

La possibilità di stampare moneta per finanziare il deficit non è stata usata neanche dai Paesi che fanno parte del mercato unico  ma non sono parte dell’euro.  Prima dell’euro le decisioni rilevanti di politica monetaria erano prese in Germania mentre oggi sono partecipate da tutti.

La storia italiana dimostra che il finanziamento monetario del debito pubblico non ha prodotto benefici nel lungo termine. Nei periodi in cui fu estensivamente praticato, come negli anni 70, il Paese dovette ricorrere ripetutamente alla svalutazione per mantenere un ritmo di crescita simile a quello degli altri partner europei; l’inflazione divenne insostenibile e il caro vita colpì i più vulnerabili.

La crescita degli anni 80 fu presa a prestito dal futuro, cioè grazie al debito lasciato sulle spalle delle future generazioni. La bassa crescita italiana è un fenomeno che ha inizio molti molti anni prima della nascita dell’euro, si tratta chiaramente di quello che noi chiamiamo un problema di offerta.

In vari Paesi i benefici che ci si attendevano dall’Unione monetaria non si sono ancora realizzati con la cultura della stabilità che avrebbe portato l’Unione economica e monetaria. Ma non era pensabile che a quei benefici si arrivasse solo dall’unione monetaria, occorreva e occorre fare di più per conseguire più crescita e occupazione.

Per porre i Paesi dell’euro al riparo dalle crisi occorre procedere quanto meno sul completamento dell’unione bancaria o su quello del bilancio comune con funzioni anti-crisi.  ma l’inazione su entrambi i fronti è inaccettabile, accentua la fragilità del’unione monetaria proprio nei momenti di crisi e dunque la divergenza aumenta.

Nel resto del mondo il fascino di ricette e regimi illiberali si diffonde, a piccoli passi si rientra nella storia. E’ per questo che il nostro progetto europeo è oggi ancora più importante. E’ solo continuandone il progresso, liberandosi le energie individuali ma anche privilegiando l’ equità sociale che lo salveremo attraverso le nostre democrazie ma nell’unità di intenti.

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I gillet gialli e il circolo vizioso dell’Occidente

Le proteste dei gillet francesi dimostrano che l’Occidente tutto, non solo l’Italia, si trovano in un circolo vizioso che porterà alla distruzione del sistema democratico fondato su lavoro, progresso e meritocrazia, andando verso una sorta di peronismo sudamericano e verso una diffusa povertà.

Si tratta dell’amara conclusione della riflessione dell’economista Massimo Fontana, che analizza la situazione partendo proprio dalla “vittoria” dei gillet gialli francesi, la cui protesta è nata dopo gli aumenti del carburante decisi dal governo di Macron.

Una protesta talmente dura e violenta da costringere almeno parzialmente il presidente francese a fare marcia indietro, proclamando una moratoria di sei mesi sull’aumento del carburante.

Una protesta però difficilmente caratterizzabile.
Sia l’estrema destra che l’estrema sinistra ci hanno provato, ma senza riuscirci, anche se leggendo la bozza di programma che secondo i giornali proverrebbe da quel movimento (non troppo credibile a dirla tutta, proprio per la sua natura non organizzata), quello che notiamo è la preponderanza di tutte le idee più demagogiche e strampalate che circolano soprattutto nella sinistra estrema orfana ormai inconsolabile del comunismo sovietico.
Strampalate e demagogiche, ma anche poco informate: vedere in proposito alla voce promozione auto ad idrogeno in quanto realmente pulita invece di quella elettrica.
E qui vengono fuori in tutta la loro drammaticità i danni nell’opinione pubblica fatti da personaggi quali Jeremy Rifkin.

Comunque, alla situazione francese si unisce anche l’elezione regionale in Spagna, che per la prima volta dal crollo del franchismo, ha portato nel consiglio regionale 12 consiglieri espressione di un partito di estrema destra nazionalista, nostalgico del franchismo, anti-immigrazione e antifemminista.
Se infine allarghiamo la visione al resto d’occidente e agli ultimi anni non possiamo non notare un enorme sommovimento politico in quasi tutte le nazioni occidentali.
Gli elettori di tutto il mondo stanno in pratica urlando un sonoro vaffanc..o a tutte le classi dirigenti del pianeta.
Da cosa è dovuto tutto questo?

Secondo l’interpretazione più in voga, peraltro proprio tra quelle stesse elite che il popolo sta mandando a quel paese, vi è come spiegazione principale l’aumento delle disuguaglianze.
Ora, se le ricerche di economisti quali Piketty ci dicono che effettivamente le disuguaglianze sono aumentate, ci dicono anche che:
1) tranne in parte gli Usa, le disuguaglianze non sono al livello massimo della storia
2) anche lo fossero, i margini di ridistribuzione tramite l’uso attivo della leva fiscale sono bassissimi.
Non a caso lo stesso Piketty alla fine si attacca a due soli provvedimenti, ovvero un aumento della tassazione personale all’80% e un aumento della tassazione patrimoniale sull’eredità.
Considerando però che proprio la Francia ha sperimentato come una tassazione personale a simili livelli sia un completo fiasco, e che in quasi tutti i paesi occidentali la tassazione ereditaria è già molto elevata, margini per intervenire realmente sulla disuguaglianza tramite nuove tasse non ce ne sono.
A meno di non voler uccidere l’economia.
3) senza contare infine che l’unica grossa riduzione delle disuguaglianze nella storia dell’umanità si è avuta nel periodo 1914-1945, ma non per eventuali politiche redistributive, ma per la distruzione del capitale in quella che si può considerare la lunga guerra civile dell’europa.
Strada questa non propriamente da consigliare.

gillet gialli piccola

 

 

LE CAUSE DELLE RIBELLIONI AL SISTEMA

Scartato l’eccesso di diseguaglianza tra le cause reali del moto di ribellione anti sistema che si sta diffondendo in gran parte del mondo Occidentale (per quanto sul tema altri pensatori come Michele Boldrin dissentano  vedi infatti precedente articolo su RobinUd), Fontana individua almeno tre fattori determinanti: l’eccesso di statalismo con relativo accrescimento delle aspettative del cittadino nei confronti dello Stato, la crisi finanziaria dovuta alla bancarotta Lehman, infine l’espansione oltre misura del fenomeno migratorio.

La prima (causa) è la principale ed è dovuta all’intreccio perverso tra il sovraccarico di competenze statali unito all’altrettanto sovraccarico di aspettative dell’elettore.
In sostanza, dal dopoguerra ad oggi, le competenze degli stati sono enormemente aumentate e con loro le condizioni di vita dei cittadini.
Condizioni di vita che fino agli anni ’80 crescevano ad un tasso più o meno doppio di quello degli ultimi 25 anni.
Ma condizioni di vita sempre migliori hanno portato la popolazione ad aumentare in modo esponenziale le proprie aspettative di vita (inteso come capacità di aumentare le proprie condizioni materiali), ben oltre le possibilità reali di crescita ordinaria di un sistema economico.
Detto banalmente: il cittadino occidentale era abituato a crescere al ritmo del 3% annuo, mentre oggi viaggia all’1,5.
Se ci aggiungiamo il fatto che lo stato ha raggiunto il limite massimo di competenze gestibili in modo efficiente (l’Italia di sicuro, meno per gli Usa e l’UK) , ecco che ci troviamo nella situazione in cui l’elettore medio ha aspettative di vita tali che di fatto nessun governo razionale può promettere.
E questo perchè riassumendo:
1) il tasso di crescita dell’occidente avanzato per ragioni demografiche e tecnologiche è fermo all’1,5%
2) lo stato non può più fare niente di utile in quanto è ormai talmente grande che ogni suo ulteriore intervento pesante, ridurrebbe l’efficienza del sistema economico, rallentando ancora di più la crescita.

Come detto, in questo contesto, i partiti tradizionali di governo, consci di questo problema sono di fatto bloccati nella loro azione di governo.
A chi si rivolge allora l’elettorato con ancora le aspettative di 30 anni fa?
Ai vari populismi, che della razionalità, soprattutto economica, se ne fregano .

In tutto questo si aggiunge però una seconda causa, che in realtà si divide in due e sono contingenti al particolare momento storico che viviamo:
– la crisi economica post Lehman
– la crisi migratoria dei rifugiati.

E qui la cosa si complica ulteriormente, perché in un mondo di aspettative crescenti ma irreali, arriva una crisi economica bancaria, quindi la crisi peggiore e pesante che possa esistere, la quale fa più o meno ristagnare il reddito per anni.
E buon ultimo in questo contesto si riversa una massa di milioni di diseredati in cerca di lavoro.
In simile situazione, con reddito fisso o quasi, ma col numero di persone che devono spartirselo che aumenta, la gestione dei flussi migratori diventa chiaramente una sorta di lotta “marxista” al reddito, ovvero un aumento per uno è una diminuzione per l’altro.

 

IL CIRCOLO VIZIOSO

L’analisi di Fontana conduce però ad una conclusione ancora più negativa, poiché uscire da questo circolo vizioso pare impossibile, se non in peggio, ovvero sconfinando verso un modello simile al peronismo sudamericano. Cosa si può fare quindi, secondo Fontana?

Poco perchè l’elettore arrabbiato e dalle aspettative irreali è ingestibile.
Poco perchè di fatto c’è solo una opzione da percorrere: la riduzione del gap di aspettative e l’aumento della crescita della produttività (sola che può aumentare i redditi).
Ma infine, tanto, perchè implementare le politiche necessarie a raggiungere tale obiettivo richiede riforme che attualmente gli elettori semplicemente non vogliono .
Ergo : l’occidente è in un circolo vizioso.
Circolo vizioso che se prima o poi non verrà interrotto dagli elettori stessi riportando il consenso verso politiche o liberiste o ordoliberiste (socialdemocrazia), potrebbe trasformare l’occidente in quella che è la sua versione populista, ovvero il sudamerica peronista.
Realizzando in quest’ultimo caso la profezia del Schumpeter del 1942. (clicca qui per una spiegazione della teoria di Shumpeter sul sito dell’Istituto Bruno Leoni)

Alla fine risolverà ogni problema la dura realtà (o meglio Darwin), ma ci vorrà tempo.
Tanto , tanto, tanto, tanto tempo .
Nel mentre……. si salvi chi può.

 

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