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Semplificazione. La riforma gratuita che nessuno riesce a fare

La semplificazione viene sempre promessa ma continua a non essere mantenuta.

Esistono decine di esempi di cosiddette semplificazioni che poi nei fatti sono nuove complicazioni.

L’esempio italiano più tremendo della complicazione burocratica è il Codice degli Appalti, che ha provocato tanti e tali difficoltà da bloccare letteralmente centinaia di progetti, senza invece riuscire a intaccare la corruzione criminale.

La ragione è sempre la stessa, la mentalità burocratica, ovvero l’idea che la produzione di carte e attestati possa rendere pulita la procedura. In realtà avviene il contrario, la burocrazia ostacola gli onesti e lascia ancor più spazio a i disonesti, i quali si rivolgono a professionisti specializzati nel far scorrere le procedure.

Lo ha ricordato il vice direttore del Corriere della Sera Daniele Manca, nel suo editoriale non a caso intitolato “non se ne parla ma semplificare è la vera riforma” di cui riportiamo qualche condivisibile passaggio:

L’Italia, dopo aver promulgato una cervellotica normativa in materia di appalti, non riesce a uscirne. È uno dei tanti esempi di come nel nostro Paese non si comprenda che la competitività non è questione aziendale, o perlomeno non solo. Anzi, le imprese per capacità di concorrere e competere con i loro pari nel mondo, hanno fatto passi da gigante. […] Tra fondi di coesione e fondi europei, abbiamo qualcosa come 122 miliardi a disposizione. Fermi. I colli di bottiglia sono quelli ampiamente noti: conflitti di competenza, un carico di norme eccessive, burocrazia e burocrati ostili agli investimenti. Ma di questo non si può che biasimare la politica e l’amministrazione che non riescono a sciogliere i meccanismi di funzionamento dello Stato alla continua ricerca di alibi per non affrontare la vera riforma alla base di tutte le altre: semplificare la vita a imprese e cittadini.

Daniele Manca giustamente ricorda anche come la Germania e persino la Gran Bretagna, sugli appalti abbiano applicato senza modifiche le direttive in Europee in materia e che basterebbe semplicemente fare come loro. L’Italia non lo ha fatto e si trova ora nella paradossale situazione di dover preoccuparsi di produrre norme ad hoc per sbloccare alcuni cantieri o appalti che sono rimasti arenati, schiacciati dalla cervellotica legislazione creata dall’eccesso di burocrazia.

Non semplificare è un vero delitto, e non ci sono scuse: a differenza di quasi tutte le altre riforme è a costo zero.

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ANCONA - Quadro Kostabi donato a Ospedali Riuniti Ancona.
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Sanità Fvg: costi eccessivi, servizi peggiorati

Dal 2012 al 2016 le dotazioni delle strutture ospedaliere del Friuli Venezia Giulia sono peggiorate con un decremento di impianti, apparecchiature e attrezzature disponibili ben più ampia rispetto a quanto accaduto nella altre regioni.

Questa la sintesi della relazione di “Controllo sulla gestione afferente al settore della sanità regionale anni 2014-2017”, depositata dalla Sezione di controllo della Corte dei conti per il Friuli Venezia Giulia.

«Il decremento della disponibilità di tali beni strumentali – si legge nelle conclusioni della relazione – si pone in concordanza con altro fenomeno già evidenziato nel precedente Rapporto, ovvero la diminuzione di concorrenzialità nel confronto con le altre regioni dei servizi ospedalieri offerti dagli enti sanitari del Friuli Venezia Giulia. La perdita di concorrenzialità si è manifestata sia in una diminuzione del saldo positivo derivante dalla differenza tra i servizi offerti a cittadini di altre regioni e quelli richiesti dai residenti del Friuli Venezia Giulia a strutture sanitarie di altre regioni, sia da una diminuzione della complessità-valore dei servizi ospedalieri offerti, rappresentata dall’indicatore sintetico ministeriale il cui peggioramento era già visibile analizzando i dati dell’anno 2010».

Secondo la Corte dei conti il costo per il personale è eccessivo rispetto all’attività svolta:

“i valori di degenza media ospedaliera rilevati in Fvg sono superiori ai valori obiettivo ricercati, soprattutto nell’area chirurgica, il che espone un quadro di non adeguata efficienza del sistema sanitario regionale, che trova parziale compensazione in un moderato miglioramento rispetto al 2013 dell’appropriatezza delle prestazioni ospedaliere e in una sostanziale tenuta dei buoni livelli di appropriatezza chirurgica raggiunti nel 2013, della gestione di alcune patologie croniche e in una diminuzione dei ricoveri ospedalieri. La diminuzione complessiva dei ricoveri in Friuli Venezia Giulia  non sembra, tuttavia, potersi interpretare con certezza nel senso di un miglioramento della qualità, tenendo conto che tale indicatore presuppone una sua buona rappresentatività della qualità ed efficienza dei sistemi sanitari solo se accompagnato anche da una degenza media dei ricoveri ordinari ospedalieri di breve durata. I nuovi dati disponibili collocano la Regione Friuli Venezia Giulia ai livelli di spesa pro capite per la gestione del servizio sanitario più elevati in ambito nazionale».

«Tale circostanza – continua la relazione – unitamente alle difficoltà riscontrate nella governance sanitaria, con particolare attenzione alla riduzione dell’efficienza, si presenta significativa anche considerando gli elementi raccolti relativamente alle modalità con le quali il Friuli Venezia Giulia sta recependo importanti principi generali di sistema sull’armonizzazione contabile e controllo della spesa, ribaditi nella legislazione nazionale e presidiati dagli organi ministeriali. I mancati adempimenti regionali rispetto agli obblighi di trasparenza e coerenza delle evidenze contabili unitamente alla gestione degli obblighi di riesame e correzione di risultati di gestione degli enti pubblici di ricovero regionali non in linea rispetto ai generali parametri di efficienza, efficacia ed economicità ribaditi dalla legislazione nazionale con i piani di rientro delle aziende ospedaliere, evidenziano un sistema regionale nel Fvg che trova difficoltà nel fare proprio un sistema di trasparente rendicontazione delle attività quale base di confronto teso al miglioramento del rapporto costi-benefici delle attività svolte».

 

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michele grimaz 22
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Trieste capitale della Scienza 2020, si cercano finanziatori privati

Trieste sarà la Capitale europea della scienza 2020, come annunciato pochi giorni fa dal professor Stefano Fantoni, presidente della Fit – Fondazione internazionale Trieste, istituzione che aveva avanzato la candidatura della città.

Trieste si è imposta sul tandem olandese Leida-L’Aia.

Un team di sessanta persone ha lavorato per mesi sul progetto, presentato ufficialmente lo scorso 29 giugno a Strasburgo. Fantoni e la delegazione hanno sostenuto le ragioni del capoluogo giuliano di fronte ai commissari dell’EuroScience, l’ente dell’Unione europea che assegna il titolo.

Il progetto prevede la trasformazione dell’area di Porto vecchio attorno al Magazzino 26 e alla Centrale idrodinamica e alla Sottostazione elettrica: per Trieste città europea della scienza è prevista la realizzazione di cinque auditorium, un’ampia piazza, un’area food, sale convegni e zona esposizioni al coperto.

La candidatura sfidante, quella olandese, partiva da posizioni forti e quindi la commissione ha voluto prendersi del tempo per arrivare a una decisione definitiva. Il duo Leida-L’Aia, infatti, costituisce un agglomerato di primissimo livello nel panorama della ricerca europea. La candidatura triestina ha avuto la meglio probabilmente grazie alla tradizione della ricerca e della diplomazia scientifica cittadine, da tempo d’eccellenza nel settore.

Ora che Trieste è stata scelta, Fantoni ha spiegato che è necessario raccogliere i fondi per il progetto, per la cui realizzazione è stato preventivata una cifra compresa  fra i 4,2 e i 4,7 milioni di euro, per raggiungere la quale, Fantoni confida nel supporto dei privati.

La Fondazione CRTrieste e la Fondazione Beneficentia ci hanno già aiutato per partire . Sono convinto che questi e altri potenziali finanziatori privati continueranno a supportarci. La quota minima di fondi privati prefissata dagli organizzatori è di almeno 500mila euro, ma vorremmo arrivare al milione. Toccherà quindi alle realtà presenti sul territorio, basti pensare al mondo dell’industria o delle assicurazioni, decidere se contribuire all’evento. Una volta che avremo degli uffici in Porto vecchio, metteremo in piedi da subito un istituto che potremmo chiamare “pro-Esof”. Servirà a sviluppare in forma di workshop i temi dell’evento assieme ai ricercatori dell’Europa orientale. Sarebbe uno strumento di base per costruire nella pratica, e non solo a parole, la vocazione internazionale dell’evento di Trieste, è la valutazione dello scienziato. Per farlo dobbiamo coinvolgere le persone in progetti veri, facendole venire qui a Trieste. Gli ambiti da trattare in questa attività sono tanti, dalla comunicazione scientifica al rapporto fra scienza e società, politica, impresa. È un aspetto non facile del nostro lavoro, su cui dobbiamo metterci all’opera da subito.

Ha dichiarato Fantoni, specificando che la Regione e gli enti locali hanno già garantito il supporto per quanto invece riguarda l’impegno a loro richiesto, che per quanto concerne la Regione dovrebbe aggirarsi intorno al milione e 200 mila euro. Un altro milione dovrebbe invece arrivare dal Ministero dell’Istruzione.

 

 

 

Foto anteprima di Michele Grimaz (@mighele_)

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Dall’Isis a Trump e Putin, da Le pen a Salvini e Beppe Grillo: tutti contro l’Europa

In Siria e Iraq stanno cambiando gli equilibri strategici e gli attori più influenti, ma non mutano le condizioni che hanno facilitato la nascita e la proliferazione dell’Isis. Basti pensate allo strascico delle guerre volute dagli USA in Medio Oriente nell’epoca Bush, al sempre vivo conflitto tra Sunniti e Sciiti, all’influenza delle potenze arabe, Arabia Saudita ed Iran in primis, nonché della Russia e di Israele.

In Europa, Medio Oriente ed Asia migliaia di fanatici si convertono ogni giorno all’estremismo islamico. Spesso queste persone non hanno bisogno di un ordine preciso o di un organizzazione strutturata a cui legarsi. Si radicalizzano “da soli”, grazie agli strumenti di propaganda proposti dai gruppi terroristici. Essi danno spazio ad odio, invidia e vendetta per non essere riusciti ad essere fra quei pochi possessori della ricchezza mondiale. Si prestano a tutto per impedire che altri possano godere dei benefici ottenuti guadagnando dal commercio delle armi, della droga, dallo sfruttamento massivo delle multinazionali. Sono disposti a morire per dare un senso agli obblighi di alcuni capi religiosi che usano ora – come in passato – la religione per manipolare le menti e per possedere il controllo del popolo, per possedere un potere assoluto.

I terroristi controllano le menti più deboli e grazie a queste vogliono creare un Occidente costantemente sotto attacco, spaventato, militarizzato. Mentre noi europei continuiamo a non realizzare che l’humus che ha permesso la nascita di tutto questo continua ad essere vivo e rigoglioso.

Ma la manipolazione delle masse non è solo utilizzata dall’estremismo religioso. Spesso le forze politiche estremiste di destra e sinistra hanno utilizzato questo sistema per raggiungere il potere. Popolazioni sofferenti, sfruttate, affamate sono sempre facili burattini al servizio di persone senza scrupoli che mirano solo ad ottenere e consolidare un potere personale, mettendo in ultimo piano gli interessi collettivi e del territorio. Queste figure accentratrici e senza scrupoli si trasformano in potenti “assoluti” e sull’onda dell’odio e dell’invidia, generato dalle masse da loro programamte, durante il loro dominio provocano sempre distruzione e morte.

Oggi l’Europa, da sola, è la potenza economica più forte al mondo, è il posto al mondo dove la salute e l’educazione sono maggiormente garantite, dove il tenore di vita è più alto. È la più sensibile all’energia verde e non a quella fossile. È il più forte e concreto esempio di integrazioni di lingue, razze e culture.

Noi europei non sembriamo accorgerci di questo e guardiamo sempre ai giardini dei vicini che appaiono sempre più verdi, e non ci rendiamo conto di chi ci invidia e vuole distruggerci. Questo di certo è l’obiettivo di Abu Bakr al-Baghdadi, califfo dell’Isis ma anche di Vladimir Putin, Donald Trump, Marine Lepen, Matteo Salvini, Beppe Grillo. Sta nascendo una paradossale colazione dove i terroristi islamisti sono soltanto la propaggine più evidente di un eterogeneo movimento trasversale che ha lo stesso obiettivo. Le motivazioni, certo, sono differenti: competizione economica per Trump, strategia geopolitica per Putin, potere personale per i vari Le Pen, Grillo e Salvini che cavalcano questo pericolo detonatore incuranti del rischio per la popolazione.

Aver ottenuto la Brexit inglese, e la presidenza americana di Trump, poter stimolare la potenziale elezione di Marine Le Pen, aumentare il potere di Putin nel continente europeo sono i veri obiettivi  e i grandi risultati dei terroristi islamici. Mettere ogni persona contro l’altra, alimentare l’insicurezza ed il sospetto con gli estremisti al potere permetterebbe di alimentare il conflitto su scala globale e quindi ridurre la popolazione occidentale a soffrire gli stessi drammi di quelle dei Paesi in via di sviluppo e delle povere persone devastate dalle guerre senza fine.

Di certo l’Unione Europea ha necessità di revisionare i trattati e di risolvere molte problematiche. In primis quella dell’emigrazione, di avere un esercito e una unica politica estera. Ma la soluzione non può essere distruttiva: non dimentichiamo la storia. Questa è la migliore nostra maestra.

L’Europa ha bisogno, tuttavia, di comprendere appieno la lezione americana. Il malcontento popolare è stato stimolato da una manipolazione delle masse con notizie false pubblicate sui socialmedia ma non solo. La crisi economica mondiale ha creato molta sofferenza e negli USA il ceto medio è stato bastonato e impoverito molto più di quello europeo.

L’euro e la sua stabilità internazionale ci hanno fino ad ora protetto da una crisi economica europea molto maggiore di quella che stiamo affrontando. Ma non dobbiamo credere che anche nell’Unione Europea non ci siano moti distruttivi, anche qui il benessere si è ridotto. Le politiche di austerità imposte per sostenere il colpo della crisi economica mondiale hanno colpito con durezza i sistemi di protezione sociale e l’istruzione. Le forze migratorie sono sempre meno sostenibili e dobbiamo prendere atto e considerare le richieste di tutela e garanzia di tutto il popolo europeo.

Ma per salvare l’Europa e quindi noi stessi, italiani compresi, non è necessario fare un passo indietro tornando alla totale sovranità degli Stati nazionali, sarebbe un disastro per tutti. Saremo piccoli pesciolini in mezzo ad un branco di squali. Dobbiamo invece applicare i trattati internazionali già stipulati e implementarli appieno. 

Pochi sanno, per esempio, che l’Unione economica e monetaria non è mai stata completata. I risultati non soddisfacenti dell’UE avvengono anche perchè è difficile che una macchina senza tutti i pezzi possa funzionare correttamente. Bisogna quindi rivedere il progetto europeo, completarlo permettendo una centralità maggiore nell’ambito politico e non solo istituzionale. Il futuro dell’Europa passa dalla nascita degli Stati Uniti d’Europa, dobbiamo impegnarci per una federazione europea e combattere chi ha interessi diversi da quelli del benessere di tutti noi.

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Perché il popolo sceglie Napoleone, Hitler e Trump?

La storia di ripete, non è certo una novità. Siamo, però, in grado di riconoscere l’eterno ritorno dell’uguale? Siamo diventati capaci di accorgerci quando qualcosa di terribile o di grandioso si prospetta di fronte a noi? Siamo, infine, capaci di imparare dai nostri errori per evitarli?

La BrexitTrump Presidente, il successo di Marine Le Pen tra i francesi, l’appeal che il terrorismo islamista ha sulle giovani generazioni anche in Europa sembra smentire le nostre capacità di comprensione. Eppure, come sottolinea Giovanni De Mauro su Internazionale, “Tranne poche eccezioni, alla fine degli anni trenta quasi tutti i giornalisti statunitensi si erano resi conto del loro errore di valutazione [ovvero aver sottovalutato Hitler, ndr]. Dorothy Thompson, che nel 1928 aveva definito Hitler un uomo di “sorprendente insignificanza”, nel 1935 ammise che “nessun popolo riconoscere un dittatore in anticipo”, perché “non si presenta alle elezioni con un programma dittatoriale” e “si definisce uno strumento della volontà nazionale” e popolare, aggiungo io.

L’elemento cruciale è la necessità di prendere in considerazione l’indole umana, qualcosa che è sì condizionato dallo sviluppo sociale, ma che riemerge nelle situazioni di difficoltà e che regola la logica dei grandi gruppi. La maggior parte delle persone, infatti, persegue il proprio interesse personale piuttosto che quello collettivo ed è incline a seguire chi si propone di poterlo garantire. Ogni situazione di difficoltà o malessere, povertà, ingiustizie sociali, crisi economiche, portano ad un malcontento che risulta dalla somma delle richieste dei singoli interessi. Per prendere il controllo delle masse è quindi necessario individuare le necessità e garantire le soluzioni. Ma ci vuole quel quid in più, ed in genere questo è dato da notizie improbabili, che provocano paura o umiliazione, oppure da risvolti religiosi o spirituali che con il “dogma” permettono speranze non verificabili. La differenza la fanno quindi quei soggetti capaci di aggregare i singoli sfruttando le sofferenze ed amplificandole a proprio piacimento alimentando paure ed esigenze in modo da avere il consenso per il raggiungmento di un potere personale che nulla poi ha a che vedere con il benessere della popolazione.

Se pensiamo alla Rivoluzione Francese, osserviamo che l’ideale e le motivazioni che l’hanno stimolata erano assolutamente nobili, tuttavia per fare breccia nel cuore del popolo bisognava parlare alla “pancia”. È stato “necessario” che le persone soffrissero singolarmente, che percepissero la presa in giro di un potere autoritario ed opulento. Soffrire la fame era la quotidianità, ma già al tempo erano state diffuse notizie false per aumentare il senso di umiliazione. Ricordate la famosa frase di Maria Antonietta “Che mangino brioche”? È un comprovato caso di fake news in salsa settecentesca che ha avuto un forte, fortissimo impatto sulle persone che non avevano gli strumenti per verificare se fosse vera oppure no.

Non è, purtroppo, il solo esempio di come l’utilizzo di notizie false abbia influenzato le masse fino al punto in cui solamente una figura autoritaria è stata capace di restituire l’ordine e la sicurezza. Non è andata in maniera troppo differente con il Nazismo che, di fatto, si fonda su varie “fake news” come quella della superiorità della razza ariana su tutte le altre. Oppure con il potere sovietico e russo che alimenta costantemte da Stalin a Putin i miti dei loro dittatori. Fino ad arrivare alle promesse, negli estremismi religiosi, di paradisi traboccanti di opulenza materiale.

Purtroppo questi moti rivoluzionari, basati su sofferenza e falsità, diventano nel medio termine distruttivi per il popolo. Di nuovo l’esempio della Rivoluzione del 1789 ci fornisce strumenti utili per comprendere più a fondo questo concetto: ad una prima fase rivoluzionaria è seguito il Terrore della Ghigliottina, stermini di massa di nobili e cittadini, morte e distruzione ovunque, la decapitazione di Robespierre, leader plebeo, infine, l’emergere della figura del capo carismatico ed accentratore che risolve la situazione assumendo il potere assoluto su tutto e tutti. Cosa ci insegnano la Rivoluzione francese e l’ascesa di Napoleone?

Questi meccanismi facilitano sì la reazione delle masse, destituiscono l’elite del momento, ma portano sempre a dittature ed a drammi ancora più grandi e distruttivi. Una rivoluzione non può funzionare se manca il ragionamento, una strategia a medio e lungo termine, una prospettiva che accosti alla pars destruens, qualcosa di costruttivo orientato al futuro. La Storia ci insegna che per manipolare e coinvolgere le grandi masse ci vogliono motivazioni che le tocchino spiritualmente, che stravolgano le loro vite, che creino problemi urgenti anche se questi non esistono. A noi restano libri su libri che ci raccontano cosa è successo e l’uso del nostro spirito critico per utilizzare gli elementi appresi per fare in modo che certe atrocità non accadano più, mai più.

 

L’articolo è stato pubblicato originariamente su SocialNews.it

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