Le nuove idee imprenditoriali, le cossiddette startup, che pure sono il fulcro intorno alla quale gira la crescita delle economie più avanzate, non trovano terreno fertile in Italia.

 

Anzi peggio, secondo Stefano Mainetti – capo di Polihub, l’incubatore che fa capo al Politecnico di Milano – «l’Italia corre il rischio di scomparire dalla mappa dei Paesi produttori di startup. Il nuovo incubatore francese Station F, sia per potenza del network, che per dotazione economica, si pone infatti come una piattaforma capace di attrarre talenti e di competere con i grandi distretti dell’innovazione europea di Londra e Berlino».

 

I dati numerici sono tristi per l’Italia: nel 2016 gli investimenti per le startup sono stati circa 170 milioni di euro, mentre la Francia ha raccolto 2,7 miliardi. Tuttavia in Italia esiste un numero di “professionisti delle startup” molto più alto delle startup stesse, un dato che spiega con l’elevata frammentazione, essendoci infatti in Italia almeno 37 incubatori, tutti in gran parte sostenuti da fondi pubblici, in cui evidentemente un gran numero di persona lavorano più per la burocrazia e il sostegno delle strutture che non per favorire il vero sviluppo delle startup stesse.

 

Secondo l’ultima Relazione annuale al Parlamento sulle startup, gli incubatori sono appunto 37 e hanno in media tra i 4 e i 19 addetti e in gran parte presentano bilanci in rosso. I dati mostrano, infatti, perdite per 2,4 milioni di euro, con una perdita media di circa 116.000 euro per ciascun incubatore.

 

L’eccessiva frammentazione porta ovviamente a disperdere gli scarsi fondi disponibili invece di concentrarli sulle idee valide. secondo il professor Mainetti: «Finora nel nostro Paese si è fatta più quantità che qualità. Abbiamo oltre
6600 startup ma i casi di successo sono stati davvero pochi e abbiamo accumulato anche qualche scivolone come nel caso di Egomnia. Il problema però non è, come si sente dire spesso, la mancanza di capitali, ma piuttosto di idee così buone da riuscire ad attrarre risorse finanziarie». L’insuccesso frequente delle startup ha infatti spinto molti incubatori a cambiare il proprio modello di business, concentrandosi sulla consulenza, da cui il motivo dell’elevato numero di professionisti del settore.  Un peccato, secondo Mainetti perchè: «Nei Paesi in cui gli incubatori funzionano si è scelto di puntare sulla specializzazione per industry e per territorio, di alzare l’asticella della qualità e di unire le forze tra pubblico e privato, sia a livello di visione che di risorse. In Italia invece siamo ancorati allo specchietto retrovisore: variamo misure per aiutare i nonni ad andare in pensione ma lasciamo scappare i loro nipoti all’estero»  staion f

 

Questo accade in Italia, mentre Emmanuel Macron inaugura Station F Station F, il più grande incubatore del mondo, nato nei pressi di Parigi per iniziativa dell’imprenditore francese Xavier Niel e capace di ospitare oltre 3mila persone e un migliaio di startupper. Durante l’inaugurazione Macron ha anche annunciato che verrà lanciato un fondo di investimento da 10 miliardi di euro dedicato alle startup.

 

La Francia sembra voglia muoversi, quando vedremo qualche segno di risveglio anche da parte dell’Italia?