Ilva

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Italia

Scudo penoso in Stato penoso

Un sistema statale in cui ci sia bisogno di uno “scudo penale” per poter solo pensare di mettersi al comando di un’industria pesante ha qualcosa di molto sbagliato.

 

Non solo, mentre la dirigenza ArcerlorMittal si rifiuta di andare avanti senza lo scudo, tutti gli altri operatori del settore devono per forza farne a meno.

 

Davide Giacalone, in un condivisibile commento sulla situazione dell’Ilva, sintetizza in 3 punti la situazione:

1. il Paese che ha bisogno dello scudo penale per potere rispettare i patti con il governo è da matti, il governo che toglie lo scudo e poi protesta per il non rispetto dei patti è da incapaci;

 

2. questa situazione si riproduce in moltissimi settori e casi, descrivendo un Paese in cui non si è più in grado di sapere cosa è lecito e cosa no, mentre la giustizia agisce nell’incertezza del diritto, il tutto senza fare la sola cosa necessaria: riscrivere le regole del mercato e dell’ambiente, oltre a quelle penali e di procedura;

 

3. la politica è popolata da demagoghi pronti a dire qualsiasi cosa e da codardi che una volta visto il successo dei demagoghi non sanno far altro che accodarsi

 

Giacalone ipotizza poi che anche la dirigenza di ArcerloMittal possa non essere in buona fede, ricordando che il pasticcio creato dai governanti italiani ha di fatto servito loro su un piatto d’argento la possibile chiusura di un importante stabilimento concorrente. L’impegno che la multinazionale aveva preso, di investire non meno di 4 miliardi nel rilancio e nel riammodernamento dell’impianto di Taranto, era infatti sottoposto a varie condizioni, che il governo sta facendo fatica a rispettare, esponendo il fianco al recesso da parte della controparte imprenditoriale.

 

Il caso Ilva non è solo un enorme problema per il sistema industriale italiano, per la città di Taranto e per il governo, ma è anche l’ennesimo chiaro esempio di un capolavoro negativo realizzato grazie ad un impianto legislativo che ostacola la certezza del diritto e a causa dell’incapacità dei nostri governi di muoversi in situazioni reali e concrete.

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the nightmare fussl
Italia

Alitalia, Ilva e debito pubblico, le follie dell’estate

Pare che la maggioranza stia per trovare un accordo sul controllo pubblico dell’Alitalia, senza partner industriale esterno, facendo invece cooperare Ferrovie dello Stato, Cassa Depositi e Prestiti e la sua controllata Poste italiane, di fatto compiendo la nazionalizzazione dell’Alitalia. Rifare gli errori già fatti due volte negli ultimi 15 anni, ma stavolta tutto da soli, con probabile ulteriore aumento dei miliardi che andranno persi.

Se davvero l’orientamento governativo è questo, c’è da avere paura, ma purtroppo  vanno in questo senso le dichiarazioni di Luigi Di Maio: “Alitalia deve essere un’azienda che ci consenta di gestire i flussi turistici del futuro con una regia politica”. Una frase che non merita particolari commenti… sarebbe da chiedere a Di Maio quale vettore aero al mondo “gestisca” i flussi turistici piuttosto che servirli…

Nel frattempo Di Maio briga per modificare l’accordo sull’Ilva, chiedendo ad Arcelor Mittal di prendersi in carico tutti i livelli occupazionali correnti, e nel frattempo invoca l’Avvocatura dello Stato per valutare l’annullamento in autotutela della gara che ha assegnato la società siderurgica, minando ovviamente la credibilità del nostro Paese nei negoziati con le multinazionali.

Nel caso di Ilva, come giustamente sottolinea il sito Phastidio.net:

 se l’impianto dovesse chiudere, avremmo tagliato una robusta quantità di eccesso di capacità produttiva europea e globale nell’acciaio, con conseguente sostegno ai prezzi ed agli utili dei produttori rimasti. L’Italia, per parte sua, dovrebbe importare acciaio e potrebbe quindi spianare il suo surplus commerciale, come nei desideri del prestigioso economista che guida pro tempore gli Affari europei nel nostro esecutivo. Perché, come sapete, c’è questa corrente di pensiero secondo cui un avanzo commerciale è tutta domanda interna distrutta, signora mia. Ma forse le cose non andranno così: forse Arcelor Mittal si ritirerà, e verrà sostituita da un gruppo di investitori solo tricolori: che ne dite di Ferrovie, CDP, Poste?

Sul tema del debito pubblico, è invece a dir poco allarmante la dichiarazione del sottosegretario leghista alle Infrastrutture, Armando Siri, che ha auspicato un patriottico riacquisto del debito pubblico italiano in mano agli stranieri «Il problema del debito pubblico deve essere ridimensionato perché a 2.200 miliardi di debito pubblico corrispondono 5.000 miliardi di risparmio privato. Il problema è costituito dai titoli di Stato che sono nelle mani di soggetti stranieri. Noi dovremmo essere in grado di incentivare le famiglie ed i risparmiatori in titoli di stato, offrendo loro sgravi fiscali. Io con un gruppo di esperti stiamo lavorando a una proposta dettagliata che verrà presentata ai presidenti delle commissioni bilancio e finanza della Camera e del Senato e al ministro dell’Economia: la creazione di uno strumento individuale di risparmio che va in questa direzione. Se la maggior parte del debito pubblico fosse nelle mani degli italiani non ci sarebbe più il problema dello spread»

No. Lo spread non ci sarebbe più, ci sarebbero solamente una moltitudine di ulteriori risparmiatori italiani in ginocchio con in mano carta straccia.

Nel frattempo il declassamento del debito pubblico italiano continua e potrebbe portare a qualche attacco speculativo al debito pubblico capace di accelerare la situazione, che nessun salvataggio europeo del Tesoro potrebbe contenere, portando il Paese al baratro.

Un’altra grande manovra economica in arrivo sarebbe quella della “quota 100” nelle pensioni, che potrebbe essere ottenuta finanziando la cosiddetta “pace fiscale” pensata  da Salvini.  Si tratterebbe di pagare a saldo e stralcio il 25% del dovuto, sia su cartelle esattoriali sino a centomila euro che su liti in corso. Una sanatoria, insomma.

Il gettito stimato da questa operazione, una decina di miliardi in due anni, servirebbe a finanziare la “quota 100” delle pensioni.

Finanziare con una misura una tantum una maggiore spesa corrente permanente è ovviamente una follia che porterà danni negli anni a venire, ma ciò che accadrà dopo pare continuare ad essere un pensiero di nessuno, tanto meno di chi sta al governo.

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ilva acquerello
Italia

Ilva, il peggio senza fine

L’Ilva rappresenta il perfetto esempio di come al peggio non ci sia fine.

 

La scorsa settimana Luigi Di Maio  ha chiuso la riunione sul destino dell’Ilva  proclamando che il Governo “non ha fretta di assegnare l’Ilva al primo compratore che passa”. La fretta dovrebbe esserci eccome, dato che il ritardo è già intollerabile.

 

L’acciaieria lavorava in utile fino al sequestro di parte dello stabilimento di Taranto disposto dalla magistratura nel 2012, mentre oggi perde circa 30 milioni di euro al mese. La gestione commissariale e i continui interventi normativi anche ad hoc hanno distrutto i conti dell’azienda, costringendo persino a ritardare gli investimenti ambientali da cui era nata l’esigenza del sequestro.

 

Dal punto di vista di un investitore estero, l’Ilva rappresenta la perfetta ragione per spaventarsi e stare lontani dal nostro Paese.

 

Il Governo precedente aveva bandito una gara per l’acquisto di Ilva che si era conclusa con l’aggiudicazione ad ArcelorMittal. L’offerta del gruppo indiano è parsa la più conveniente tenuto conto non solo per ragioni economiche ed occupazionali, ma anche perché prevedeva investimenti ecologici per mettere in sicurezza le lavorazioni.

 

Tutto questo a Di Maio non basta, dovrebbe concludere la vendita alla società che ha vinto la gara, e dare seguito al piano industriale che è stato concordato e autorizzato a livello locale, nazionale ed europeo, invece il Ministro preferisce sfruttare la ribalta per ricominciare a sentire tutti e studiare tutto, senza peraltro che sia chiaro se si tratti di mera tattica negoziale o se realmente egli voglia assumersi l’onere di far chiudere il maggiore polo industriale di tutto il Sud Italia. Appare incomprensibile la decisione di riaprire le danze al cospetto di una molteplicità di realtà associative prive di qualunque rappresentanza (tra le quali però non sono state coinvolte né la locale Confindustria né Federacciai, l’associazione di categoria).

 

In relazione a questa drammatica vicenda, le parole dell’Istituto Bruno Leoni sono durissime:

L’impressione è che si voglia soltanto dare spazio a una processione di questuanti, ciascuno dei quali latore del suo più o meno legittimo interesse, in modo da consentire al Governo di distribuire favori o ramanzine, con la benedizione della parte più populista del sindacato. Non se lo merita l’Italia, non se lo merita la Puglia e soprattutto non se lo meritano i lavoratori dell’Ilva e delle aziende dell’indotto. Ilva rappresenta una profonda ferita nella storia industriale italiana, nella tutela dei diritti di proprietà e nella certezza del diritto. Questa ferita va sanata, non riaperta

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