Forse mi sbaglio, ma non ricordo canzoni recenti dedicate a Udine, quindi capisco che “Udine città” di Justin Owusu sia diventato il caso del giorno sul Messaggero Veneto e collezioni migliaia di visualizzazioni su youtube.
L’ha scritta Justin Owusu, di origine ghanese, ma italiano e udinese, e questo ci ricorda che la nostra città è fatta, amata e vissuta anche da chi non ha esattamente il viso spigoloso e la carnagione chiara del tipico friulano.
Mi pare che l’innegabile problema della gestione dei profughi abbia portato troppe persone ad una deleteria generalizzazione.
Si confondono troppo spesso gli stranieri in generale con i migranti chiedenti asilo, che sono invece un fenomeno esploso solo negli ultimi anni e costituiscono la seconda ondata dell’immigrazione in Italia, mentre la prima era di chi veniva per lavorare e poi portava le proprie famiglie, come capitò a Justin Owusu e a tanti altri, che ora sono e si considerano italiani.
L’attuale immigrazione dei profughi è una storia triste di barconi stracolmi di persone destinate a muoversi per stare peggio o a sprecare i migliori anni della propria vita in un ozio monotono e depressivo, per giunta malvolute.
Tempo fa, basta andare indietro di pochi anni, l’immigrazione era invece un percorso più contenuto nei numeri, più variegato nella forma, con altrettanta necessità di sacrificio, ma che aveva concreta speranza di successo o almeno di miglioramento del proprio status.
Inoltre era una migrazione destinata a portare vantaggio anche al paese ricevente, in termine di nuova forza lavoro e ringiovanimento della società.
La storia raccontatami recentemente da D. rientra in pieno in questa ultima fattispecie.
La sua famiglia, una volta stabilitasi decentemente qui nelle italiche campagne friulane, le pagò infatti un regolare biglietto aereo di sola andata, così lei, bimba di 10 anni, arrivò nella fredda Europa a cui era destinata.
Non vide traccia di gommoni, né dovvette sobbarcarsi le traversate desertiche e la tappe d’inferno libico che spettano agli attuali “furbetti della richiesta di asilo”, che poi tanto furbi a quanto pare non sono, visti rischi cui sottopongono loro stessi.
Viaggi come il suo, di mera andata, a distanza di qualche anno hanno prodotto una persona integrata che si sente in qualche modo italiana e ama scherzare facendo qualche battuta in friulano.
Viaggi come il suo, fatti da bimba o comunque poco prima dell’adolescenza, fanno da spartiacque tra nascita, paese di origine e luogo di crescita e di vita.
Non si sentirà mai completamente italiana D., ma nemmeno potrà dire di essere solo africana.
Non è un apolidismo, che sarebbe triste, ma piuttosto una forma di indefinitezza fluida e un po’ poetica.
Decisamente più difficile è invece la vicenda di chi si muove da adulto e quindi è destinato a vivere da straniero dove migra.
Persino chi nasce straniero in terra d’altri, può avere problemi grossi, non appena gli venga il dubbio che il paese dove è nato lo tratta diversamente per via delle sue origini. Questa persona è sempre a rischio di sentirsi incompleto e sbagliato, pur essendo cittadino per ius soli o per naturalizzazione successiva, nonostante de facto non abbia mai visto la sua patria d’origine.
Più consapevole è invece spesso la situazione di chi ha fatto il viaggio come D., da bambina.
Perchè D. sa che non c’è niente di imperdibile in Africa, come non c’è nulla di imprescindibile qui.
Il mondo è semplicemente imperfetto ovunque e ci si può stare bene o male a prescindere dal luogo, dalla patria o dalla nazionalità scritta sui passaporti, conta molto di più l’atteggiamento con cui si affronta la vita e il proprio destino.
Migrare da una paese all’altro non impedirà al mondo di ruotare e portare in giro tutti, indistintamente, notte dopo giorno, fino all’ultimo.
Questa cosa D. la ha capita, troppe persone, che nascono e vivono sempre nello stesso posto, non lo capiranno mai… e si sorprenderanno che sia stato proprio Justin Owusu a mettere in musica l’amore per la sua città, Udine.