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Scudo penoso in Stato penoso

Un sistema statale in cui ci sia bisogno di uno “scudo penale” per poter solo pensare di mettersi al comando di un’industria pesante ha qualcosa di molto sbagliato.

 

Non solo, mentre la dirigenza ArcerlorMittal si rifiuta di andare avanti senza lo scudo, tutti gli altri operatori del settore devono per forza farne a meno.

 

Davide Giacalone, in un condivisibile commento sulla situazione dell’Ilva, sintetizza in 3 punti la situazione:

1. il Paese che ha bisogno dello scudo penale per potere rispettare i patti con il governo è da matti, il governo che toglie lo scudo e poi protesta per il non rispetto dei patti è da incapaci;

 

2. questa situazione si riproduce in moltissimi settori e casi, descrivendo un Paese in cui non si è più in grado di sapere cosa è lecito e cosa no, mentre la giustizia agisce nell’incertezza del diritto, il tutto senza fare la sola cosa necessaria: riscrivere le regole del mercato e dell’ambiente, oltre a quelle penali e di procedura;

 

3. la politica è popolata da demagoghi pronti a dire qualsiasi cosa e da codardi che una volta visto il successo dei demagoghi non sanno far altro che accodarsi

 

Giacalone ipotizza poi che anche la dirigenza di ArcerloMittal possa non essere in buona fede, ricordando che il pasticcio creato dai governanti italiani ha di fatto servito loro su un piatto d’argento la possibile chiusura di un importante stabilimento concorrente. L’impegno che la multinazionale aveva preso, di investire non meno di 4 miliardi nel rilancio e nel riammodernamento dell’impianto di Taranto, era infatti sottoposto a varie condizioni, che il governo sta facendo fatica a rispettare, esponendo il fianco al recesso da parte della controparte imprenditoriale.

 

Il caso Ilva non è solo un enorme problema per il sistema industriale italiano, per la città di Taranto e per il governo, ma è anche l’ennesimo chiaro esempio di un capolavoro negativo realizzato grazie ad un impianto legislativo che ostacola la certezza del diritto e a causa dell’incapacità dei nostri governi di muoversi in situazioni reali e concrete.

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bandiera distrutta
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Il Paese senza memoria che uccide la storia

Gli italiani facilitano i cattivi politici e i pessimi governi perché hanno poca memoria. Secondo Sergio Rizzo, la tendenza a dimenticare del nostro popolo è stata aggravata in modo sistematico dalla distruzione della storia come materia di studio, messa in atto dagli ultimi ministri dell’Istruzione.

Se c’era un piano per eliminare la storia dai banchi di scuola, dice Rizzo nell’editoriale pubblicato sulla Repubblica, il progetto sta funzionando tragicamente bene e con gravi conseguenze, perché non c’è modo migliore per distruggere un paese, che distruggerne la storia, la memoria collettivasergio rizzo

Dalla Moratti, al ministro senza diploma Fedele, al ministro insegnante di educazione fisica Bussetti, Sergio Rizzo vede una tragica linea di continuità, con la storia che va sempre più a fondo, relegata a poche ore, eliminata dai temi di maturità, quasi cancellata dalle università (solo 20 iscritti in Italia alla laurea specialistica in Storia Contemporanea).

La storia è stata eliminata dalle scuola a favore di materie più utili, pratiche o “moderne”, si chiede Sergio Rizzo?

In realtà no, e i dati Ocse sulla capacità degli studenti italiani sono impietose: i più recenti test Pisa (Program for international student assessment) rivelano che, dal 2006 i ragazzi italiani non hanno mostrato alcun progresso, e che addirittura il 20 per cento di chi frequenta la seconda classe della media superiore è incapace di ottenere un livello minimo di competenza nella lettura e comprensione di un testo.

Se vuoi distruggere un Paese, per prima cosa devi distruggere la sua storia. Perché senza la storia un Paese non è niente. Semplicemente, non esiste. In Italia l’operazione “Distruzione della storia” va avanti da molto tempo. Nei decenni si sono diligentemente applicati alla fucilazione della nostra memoria plotoni di ministri dell’Istruzione

La rimozione dello studio della storia segue una pratica che accomuna gli studenti ad una buona parte della società, dimenticare il passato per volgersi al futuro può sembrare moderno, in realtà cancella la memoria e senza di questa una collettività perde la propria identità e soprattutto la capacità di reagire di fronte all’incedere dell’ignoranza e del ripetersi degli errori del passato.

 

 

 

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conte spavaldo
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Giuseppe Conte, il giorno dell’Arroganza

Dopo mesi di disciplinato anonimato, Giuseppe Conte ha vissuto infine il suo giorno da protagonista.

 

Tutti hanno ascoltato il discorso di dimissioni e secondo i sondaggi, la sua popolarità ha avuto persino una piccola impennata.

 

Un interessante articolo di Gianfranco Moretton, pubblicato sull’omonimo blog, analizza invece il commiato dell’ormai ex Presidente del Consiglio vedendolo come la recita di un’opera di pura arroganza, divisa in tre atti.

 

Il primo atto, secondo Moretton, è la parte in cui Conte rimprovera Salvini, usando il tono che un professorino riserverebbe ad un alunno incorreggibile.

 

Con il secondo atto emerge in modo più chiaro l’arroganza, infatti Conte parla di se stesso in terza persona, usando tra l’altro il nome istituzionale del ruolo che (sulla carta) ricopriva, rimarcando quanto Salvini avesse mancato di rispetto alla figura del Presidente del Consiglio.

 

L’arroganza raggiunge poi l’apice durante il terzo atto, in cui Conte proietta se stesso nel futuro, presentando il programma che seguirà il suo nuovo governo, ormai convinto evidentemente di essere lo statista di cui il Paese ha improvvisamente scoperto di avere bisogno.

 

In conclusione Moretton richiama argutamente un fatto storico, trovando un parallelismo inqueitante:

  Forse il paragone è irriverente (nei confronti dei Savoia) ma è stato inevitabile pensare, guardando quel trono dal quale Conte ha poi pronunciato il suo roboante discorso sulle Istituzioni, alla fuga del Re e della sua corte da Roma al precipitare della guerra. Ci viene in mente per definire la statura politica di questo premier una sola delle tante citazioni fatte nei discorsi e ci dispiace di citarne solo una violando la par condicio: Salvini ha ricordato il pensiero pronunciato da Don Abbondio raggiunto dai bravi: “il coraggio , se uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Appunto.

 

Clicca qui per leggere l’articolo di Gianfranco Moretton

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Patrimoniale in vista?

La ricchezza c’è in Italia, ma è ferma nei conti correnti e nel risparmio privato” – ha dichiarato Salvini dopo la vittoria elettorale alle Europee, velatamente accennando a una risorsa che potrebbe essere messa a frutto in modo migliore.

L’ultimo editoriale dell’Istituto Bruno Leoni rileva come il Governo, rifiutando ogni minimo tentativo di ridurre la spesa pubblica, non possa che agire su due fattori: il deficit pubblico o la pressione fiscale.

La spesa pubblica è intoccabile per la maggioranza quindi è una variabile indipendente: si può solo lavorare sugli altri due elementi dell’equazione.

Quanto al debito pubblico, il Governo italiano combatte da tempo con l’Europa per rimuovere i limiti al deficit, ma ormai la misura è prossima a essere colma. Lo spread sta risalendo e la fiducia dei mercati nell’Italia è ai minimi termini, un ulteriore aumento del debito avrebbe conseguenze anche sui tassi di prestito per privati e imprese, con pesanti ricadute sull’economia e sul consenso.

Lo Stato tuttavia deve pagare i conti e si stima che l’amministrazione pubblica spenderà circa 870 miliardi nel 2019: da qualche parte i soldi dovranno essere racimolati.

Al Governo non resterà che far leva sulla pressione fiscale e una patrimoniale potrebbe essere una delle poche ipotesi elettoralmente accettabili per l’attuale maggioranza.

ben presto sarà chiaro, ancor più di quanto già non lo sia, che i propositi bellicosi dell’esecutivo hanno un prezzo in termini di tassi di interessi sui nuovi mutui di famiglie e imprese. Le quali potrebbero essere chiamate precipitosamente a mettere mano ai loro risparmi, persino nei conti correnti, per risanare le finanze pubbliche. Quando Salvini dice che bisogna mobilitare il risparmio privato degli italiani, sta utilizzando la locuzione del politichese per esprimere il concetto di imposta patrimoniale

L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni conclude con l’amara considerazione che gli italiani, già sofferenti per il peso eccessivo pressione fiscale, dovranno subire un’ulteriore aumento delle imposte solo per l’ostinata determinazione a non voler tagliare nemmeno un euro del bilancio pubblico.

I governi passati hanno fallito nel tentativo di ridurre la spesa pubblica, mettendo in atto progetti inadeguati e insufficienti, quello attuale ha deciso di non provarci nemmeno.

 

 

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Regione Fvg / Italia

Friday for Future, opportunità per il Friuli Venezia Giulia

Udine è stata una delle oltre 1.300 città dove venerdì scorso si sono riversati in massa i ragazzi di Fridays for Future. L’iniziativa ha avuto discreto risalto sui media, ma ne avrebbe meritato anche di più, se consideriamo il successo planetario e il fatto che a partecipare erano proprio gli adolescenti che la gran parte della società accusa di essere apatici e incapaci di alzare gli occhi dal proprio smartphone.

 

 

I GIOVANI DI FRIDAYS FOR FUTURE, RESISTERANNO?

L’interesse per il tema ambientale è nobile, ma anche cruciale, come conferma la comunità scientifica, che da anni invita l’umanità a riconsiderare l’incidenza negativa della propria attività sul sistema ecologico.

Lo spunto di ottimismo innescato dal successo di Fridays for Future è però mitigato da una riflessione cui mi conduce l’età dei suoi partecipanti; viene infatti da pensare che la propensione ai grandi temi ecologici sia più facile a 16 anni, quando non si hanno bollette da pagare o conti fa far quadrare a fine mese.

 

Greta Thunberg

Greta Thunberg

Molti degli attuali attivisti, che ora si preoccupano – giustamente – del riscaldamento globale o dell’esaurimento delle riserve idriche, tra qualche anno saranno adulti con una famiglia da mantenere e cadranno facilmente nella trappola delle concrete promesse elettorali dei politici più scaltri, incapaci di vedere nulla che sia oltre la prossima tornata elettorale.

 

Altro che riscaldamento globale… la realtà ha insegnato che allo statista di turno, interessa tutelare i posti di lavoro della tale industria o gli introiti di un dato sfruttamento di una risorsa naturale. Disboscando mezza foresta, una nazione può far quadrare i propri conti, riempire i frigoriferi al popolo che rieleggeranno il politico. Che le generazioni a venire si ritroveranno solo metà della foresta iniziale, sarà un problema a cui penserà qualcun altro.

 

Il pericolo è quindi che gli attuali sostenitori di Greta Thunberg crescendo diventino meno idealisti e più propensi a guardare a fine mese, piuttosto che al futuro. 

 

 

FRIULI VENEZIA-GIULIA, L’OCCASIONE DELLA GREEN ECONOMY

La realtà è che con il giusto approccio, specie per le nazioni più piccole, la sfida del futuro può essere fin da subito un’ottima opportunità di crescita anche economica. Paesi come la Norvegia o la Svizzera lo stanno già facendo e con riscontri positivi già riscontrabili.

Investire sulla ricerca green è già una scelta vincente. lo dimostrano anche i risultati finanziari dei cosiddetti investimenti sostenibili.

 

Penso a una regione come la nostra, il Friuli Venezia Giulia, che per dimensione, posizione, densità abitativa e ambiente, si presenta di per sé come scenario ideale per un’evoluzione ecologica. Non mi riferisco solo alla vocazione turistica, che pure può essere sviluppata, ma soprattutto alla crescita e al progresso verso la tecnologia ambientale. La nostra Regione, che ospita già università e centri di studio di eccellenza nel campo scientifico, dovrebbe accentuare e favorire ulteriormente la ricerca, sia a livello accademico che industriale, verso un’economia basata sul rispetto dell’ambiente.

 

Il riciclo dei rifiuti, la riduzione delle immissioni, l’equilibrio tra natura e opera umana rappresentano le sfide che il mondo intero dovrà affrontare.

 

Le realtà piccole come la nostra hanno la possibilità di fungere da precursori e ciò rappresenta un’opportunità non solo ideale, come giustamente ricordano i ragazzi di Fridays for Future, ma anche l’occasione di una rinascita economica.

 

In spregio alla tradizionale antinomia tra ecologia e ricchezza.

 

La Green Economy non è solo etica, funziona!

La Green Economy non è solo etica, funziona!

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