Non solo in Italia invidia e odio sono alla base del consenso politico, il problema è mondiale, come sostiene l’economista americano Micheal Pearce, che individua un punto di svolta epocale nella nota crisi finanziaria del 2008.
Francesco Francio Mazza prende spunto da Pearce per fare un’impietosa analisi della situazione italiana; partendo dal presupposto che le conseguenze della crisi del 2008 sono ancora visibili: gli stipendi sono calati, l’incertezza sul mondo della finanza ha diffuso la sfiducia nelle istituzioni, le iniezioni di denaro da parte delle banche centrali non hanno creato l’effetto sperato. Anche a livello sociale e politico dunque, le conseguenze di questi 10 anni hanno avuto risvolti evidentissimi e strutturali:
…ad un simile sconvolgimento della struttura, non poteva che corrispondere un altrettanto devastante sconquasso al livello della sovrastruttura. In un mondo impoverito, il vizio capitale dominante ha cessato d’esser l’avarizia – il peccato tipico del capitalismo da vacche grasse – per essere sostituito dall’invidia. Siamo diventati un pianeta di gente che non vede l’ora di prendere a bastonate il vicino colpevole di avere l’erba più verde della nostra: non a caso, il social network più diffuso è essenzialmente un mezzo per aizzare l’invidia dell’altro, tramite spiagge da sogno e macchine cabrio, tette di plastica e culi torniti, in una rappresentazione della realtà indistinguibile dai video dei rapper bifolchi, passati – non a caso – dal ruolo di comparse dell’industria musicale a quello di cantori ufficiali di un tempo senza pudore.
Un sentimento – l’invidia – capace di crescere su qualsiasi terreno e di maturare in quello che si è rivelato essere il frutto più redditizio di questa epoca: l’odio. Grazie ad esso, gli agonizzanti media di tutto il mondo hanno trovato nuovo ossigeno, inventandosi la cosiddetta “economia dell’indignazione”: ogni articolo, ogni titolo, ogni frase ha come unico scopo quello di far incazzare la propria bolla di riferimento, di gasare le proprie baionette per mandarle alla battaglia online contro la bolla avversaria armate di shares, likes e retweets. […]
I politici di oggi – tutti, non solo quelli che si definiscono populisti – non hanno più nulla di coloro che li hanno preceduti: non obbediscono alle stesse dinamiche, non sono sottoposti alle stesse leggi. Per aver salvato i responsabili del collasso (le famose élite) e averne scaricato i costi sul popolo attraverso la famigerata austerità, rischiavano di sparire sul serio: per questo, da allora i politici si sono messi al servizio dell’Uomo Della Strada, assecondandone ogni umore, anche i più turpi, facendo di tutto per compiacerlo, senza un barlume di quel senso di responsabilità che, bene o male, avevano i loro predecessori.
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Per questo i politici di oggi non richiamano statisti alla Roosevelt o De Gasperi ma promoter come Don King o Vince McMahon: il loro mestiere non è immaginare il futuro ma convincerci di vivere un eterno presente, schiacciati da una minaccia continua da cui solo loro ci possono salvare. E la loro strategia è la costante chiamata alle armi, lo scagliare la propria bolla contro qualcuno o qualcosa – […]