Quest’anno la Sanità Pubblica italiana compirà 40 anni, essendo stata istituita nel 1978.

In occasione della ricorrenza, l’Espresso ha realizzato un servizio di approfondimento, rivelandone i punti critici e il peggioramento continuo che il servizio sta dimostrando specialmente negli ultimi anni.

Il dato sintetico più indicativo e preoccupante è quello fornito dall’Euro Index Consumer Health: che nella classifica vede l’Italia al ventiduesimo posto su 35 paesi, ma soprattutto capace di perdere ben 11 posizioni in dieci anni, segno di un trend di peggioramento drammatico.

Andando nel dettaglio, le criticità sono molteplici.

BASSA SPESA SANITARIA IN RAPPORTO AL PIL

Secondo i dati ufficiali forniti dal Consiglio dei ministri nel 2018 il rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil sarà al di sotto del 6,5 per cento, soglia limite indicata dall’Oms.  «Fino al 2015 i tagli sembravano giustificati dalla crisi economica, ma anche adesso che abbiamo imboccato la ripresa il definanziamento è inarrestabile», dice Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, dove da anni si studia con analisi e report la sanità italiana.

«Il nostro è il sistema che costa meno in assoluto spiega Francesco Longo, direttore del Cergas, centro studi dell’Università Bocconi di Milano –  con pochi soldi riusciamo ad avere livelli qualitativi di cure intensive simili a Francia e Germania. Però manca tutto il resto. Dopo l’ospedale, non c’è assistenza per gli anziani non autosufficienti, che oggi sono 2,8 milioni e tra 10 anni saranno 3 e mezzo. Non avendo altro posto dove stare, il 60 per cento di quelle persone continua a entrare e uscire dagli ospedali, ingolfandoli. E il carico dell’invecchiamento è sulle spalle delle famiglie, che non possono reggere oltre»

LISTE D’ATTESA CON TEMPI INACCETTABILI

Un noto esempio di carenza del servizio sono tempi delle liste d’attesa. Qualche esempio: tre mesi e mezzo per una visita oculistica a Milano, quasi quattro per una mammografia al Sud. Il risultato è che molti cittadini rinunciano alle analisi, alla prevenzione, alle terapie. Secondo Istat il 6,5 per cento della popolazione ritarda o non si cura più.

Molti analisti indicano nella libera professione concessa ai medici ospedalieri e praticata parallelamente una delle cause delle lunghe liste d’attesa. Sul tema si è espresso anche Raffaele Cantone, il capo dell’agenzia nazionale contro la corruzione: «La sanità è ai primi posti per il rischio corruzione e le liste d’attesa ne sono uno snodo importante, perché rappresentano uno degli strumenti attraverso cui si verifica lo sviamento dal pubblico. È legittimo che un cittadino scelga il sistema privato, ma quando quest’ultimo diventa di fatto obbligatorio, allora è certamente un fatto illecito. Servono regole più chiare», avverte Cantone. Le cifre paiono confermare tale teoria: le liste d’attesa hanno fatto impennare la spesa privata per la salute, le famiglie sono arrivate a sborsare – di tasca propria o tramite una mutua privata – oltre 35 miliardi.

DOPPI TURNI E PRECARIETA’ DEI MEDICI E DEL PERSONALE SANITARIO

Il rapporto Cergas sottolinea un’altra grave lacuna: mentre il numero dei medici è simile a quello della Germania e della media europea, sul fronte degli infermieri la carenza è notevole: ci sono 5,4 unità ogni mille abitanti contro i 9 della media Ocse, i 10,2 della Germania, i 18 della Svizzera. Così in Italia si ricorre  spesso ai doppi turni, fino a 16 ore consecutive: con un inevitabile crollo d’ attenzione e di cura per i pazienti.

Anche i posti letto in Italia sono insufficienti: 3 ogni mille abitanti contro i 4 della media Ocse e gli 8,1 della Germania. «In Italia un medico costa come tre infermieri. Forse bisognerebbe puntare su questi ultimi, ma una svolta di questo tipo, in Italia, non è facile da mettere in atto», dice il professor Longo della Bocconi.

L’altra emergenza sono i giovani, aggiunge Andrea Filippi della Cgil medici, che constata come in Italia ci siano 12 mila specialisti con rinnovo annuale e che gli anni di attesa per una stabilizzazione siano in media 15.

Lo stesso sistema formativo è insufficiente e permette a un solo medico laureato su due di accedere al percorso di specializzazione. Nel 2017 per 6.676 contratti di specialistica, le domande erano 15.000. Chi è rimasto fuori, molto probabilmente, dopo essere stato formato dalle nostre università, fuggirà all’estero.